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Traslazioni verticali
di Giuseppe Pizzi


Adesso che è spogliata delle piante e nonostante il disturbo creato dai lavori, piazza Trento e Trieste si presenta in maniera molto più chiara e panoramica di prima.
E ancor meglio di prima si vede che una parte importante della sua superficie è presa dalla montagnola rettangolare sulla cui sommità campeggia il monumento ai caduti. Con quella vasta piramide erbosa al centro, il resto della piazza si riduce a quattro strade asfaltate che la fanno sembrare un anello di circolazione del traffico di dimensioni spropositate. Chissà, forse volevano proprio scongiurare le gimcane automobilistiche del sabato sera le amministrazioni che l'hanno degradata per anni ad autorimessa a cielo aperto, con il suo turpe arredo di sbarre, transenne, gabbiottelli, catenelle, paline, cartelli e strisce per terra. E per molti anni noi, che non potevamo né calpestare il terrapieno centrale né accedere allo spazio circostante, abbiamo continuato, abusivamente, a chiamarla piazza.
Dobbiamo quindi compiacerci che l'amministrazione Faglia abbia finalmente deciso di restituirle dignità e funzioni liberandola dalle occupazioni incompatibili, via il parcheggio e via il terrapieno. Per dirla tutta, l'opera andrebbe completata tirando giù anche un paio di palazzoni, ma le difficoltà sono facili da intuire. Diciamo che quel che si può fare, l'amministrazione lo sta facendo.
Il criterio progettuale seguito per il rifacimento della piazza è quello della “traslazione sull'asse verticale”, come da suggerimento del bando di concorso. In pratica, tutto resterà nel posto in cui è adesso, però cambiando di quota. Le automobili scenderanno dal suolo al sottosuolo (con smantellamento del parcheggio di superficie), il monumento dalla cima della piramide al suolo (con eliminazione del terrapieno). Interrate le macchine e atterrato il monumento, l'intera piazza tornerà così nella disponibilità dei cittadini.
Sull'interramento del parcheggio il dibattito è tuttora ampio e aspro, con molti dubbi ed obiezioni, più o meno fondate, a riguardo principalmente delle sue motivazioni e delle sue conseguenze (a quali necessità risponde, perché prima lì che altrove, chi ne trae vantaggio, che effetti avrà sul traffico, quanto costa e quanto vale, ecc.). Sull'atterramento del monumento pochi e ignorati commenti. Al contrario, credo che sia il caso di parlarne.
Cominciamo con l'osservare che il nostro monumento, al pari di quasi tutti i monumenti ai caduti, è un'opera d'arte retorica. Non intende rappresentare la realtà né testimoniare la verità, vuole enunciare una tesi (morire per la patria è bello e giusto e i caduti si sono eroicamente sacrificati per la vittoria), e sostenerla retoricamente, cioè ricorrendo ad artifici espressivi (figure retoriche) che aiutano a renderla plausibile e persuasiva.

la spinta verso il cielo - foto Giuseppe Pizzi

Nel monumento di piazza Trento e Trieste, che è un capolavoro del genere, la figura retorica prevalente è la “spinta verso l'alto” che metaforicamente esprime la sublimazione del sacrificio (v. foto). Tutto l'insieme scultoreo è proteso verso il cielo, seguendo un profilo ascensionale che parte dall'erta del terreno e arriva all'imbuto della lunga tuba imbracciata dalla vittoria alata. L'orientamento delle figure verso la vetta, il turgore delle membra, l'esagerazione plastica, la torsione dei corpi, i pugnali fieramente alzati, lo slancio atletico della vittoria che spicca il volo dal dorso dei guerrieri soccombenti, sono tutti espedienti retorici per trasfigurare la violenza, la sofferenza e la morte nella conquista di una meta esaltante e giustificante.
Ora, perché il linguaggio dell'opera risulti comprensibile (la comprensione del linguaggio non comporta la condivisione del testo, anche per dissentire bisogna capire), è assolutamente necessario che il profilo ascendente del gruppo bronzeo sia leggibile sullo sfondo libero del cielo, al di sopra della sagoma degli edifici che circondano la piazza, occorrono insomma quei tre o quattro metri di piedistallo che non per caso a suo tempo furono realizzati con il terrapieno.

il monumento appiattito contro il palazzo Upim - foto Giuseppe Pizzi

Già oggi, la visione del monumento verso sud risulta massacrata dal fondale a scacchiera costituito dal palazzo dell'Upim (v. foto). La vittoria alata sembra desiderosa di andare a spiaccicarsi contro le finestre dell'edificio mentre il suono della “terribil tuba” è destinato a rimbalzare all'indietro dopo pochi metri di propagazione.
Ecco, dobbiamo sapere che domani, quando sarà portato a terra, il monumento apparirà più o meno così da qualunque parte lo si osservi, a meno di guardarlo da sotto in su, e quindi da una posizione così ravvicinata da impedirne la vista d'assieme. Ora, siccome le opere d'arte sono fatte per essere viste, capite e apprezzate per quello che sono e l'autore ha voluto che fossero, esprimo la speranza che questo non succeda. Non nego che per l'ampliamento e la riqualificazione della piazza occorra riconquistare la superficie occupata dal terrapieno erboso, ma non vedo perché lo si debba fare calando al suolo il monumento quando si potrebbe progettare un nuovo piedistallo, che risulti più o meno delle dimensioni del monumento e che sia funzionalmente ed esteticamente coerente con la piazza. Impegno progettuale non piccolo, ma pur sempre meno costoso, rischioso e irrispettoso dell'atterramento del monumento. Non sarebbe la prima volta che, per metter mano al piedistallo, si rovina un monumento.

Giuseppe Pizzi


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  22 ottobre 2005